L’art. 579 del c.p.c. prevede che “ognuno, eccetto il debitore, è ammesso a fare offerte all’incanto”. Il debitore, o esecutato, è l’unico soggetto che non può presentare offerte. Sono previsti vari modi di partecipazione, secondo le istruzioni dettate dal Giudice e riportate prima nell’Ordinanza poi nell’Avviso di vendita curato dal professionista delegato.
E’ possibile purché l’offerente sottoscriva una procura speciale a suo favore e sia un avvocato iscritto all’albo. In caso di aggiudicazione il procuratore, entro tre giorni successivi alla vendita, dovrà dichiarare al delegato il nome della persona per la quale ha fatto l’offerta depositando l’originale della procura speciale notarile.
La disciplina che regola le modalità di svolgimento per la vendita di un immobile in asta giudiziaria si trova nell’Ordinanza di vendita alla voce “Disciplina della vendita”. La presentazione dell’offerta, i contenuti, i documenti da allegare sono inseriti nella prima parte dell’ordinanza, insieme alle norme sul versamento della cauzione e all’irrevocabilità dell’offerta.
E’ sempre possibile, basta richiedere appuntamento al custode giudiziario attraverso una procedura telematica indicata nella scheda dell’asta. In genere le visite sono concentrate nei giorni che precedono l’incanto, per una migliore organizzazione, ed è possibile visitare l’immobile solo due persone per volta.
Oggi le procedure prevedono la contestualità negli esperimenti di vendita. La prima in ordine di tempo è quella senza incanto, ovvero con offerta in busta chiusa, determinata in funzione del prezzo base e dell’offerta minima come previsto dall’Ordinanza. Qualora per l’acquisto del medesimo bene siano state presentate più offerte valide, si procederà a gara sulla base dell’offerta più alta, passando così immediatamente all’asta con incanto. In entrambi i casi l’aggiudicazione è definitiva, in attesa di corrispondere il saldo prezzo al massimo entro i 120 giorni successivi.
Sarà immediatamente restituita alla fine dell’incanto. Nei tribunali maggiori l’assegno circolare non trasferibile è intestato alla sezione immobiliare e non alla procedura specifica, quindi se l’importo offerto è maggiore rispetto all’anticipo versato per un’altra asta è possibile riutilizzarlo, altrimenti è necessario produrre un nuovo assegno.
Si tratta di una procedura particolare definita comunemente “mutuo con iscrizione
ipotecaria su beni altrui” e consiste in un atto pubblico, da stipularsi presso il notaio di fiducia, grazie al quale l’istituto emette assegni circolari intestati alla procedura, pari alla richiesta di finanziamento concesso meno le spese d’istruttoria, e li consegna al cliente che ha il compito di versarli direttamente al cancelliere del tribunale nei tempi previsti del saldo prezzo. E anche possibile che l’operazione di pagamento avvenga con bonifici bancari, in questo caso l’atto si stipula presso la filiale della banca erogante.
In un’asta giudiziaria la vendita forzata avviene nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano (D.L. 380/2001), non è soggetta alle norme concernenti la garanzia per vizi o mancanza di qualità e non può essere revocata per alcun motivo. Per queste ragioni il tribunale informa, attraverso l’Ordinanza, che per gli immobili realizzati in violazione della normativa urbanistica edilizia l’aggiudicatario potrà ricorrere, dove è consentito, alla
disciplina della legge nr. 47/85. In breve egli vede riaperti i termini per presentare domanda di concessione o permesso in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto di trasferimento.
La normativa in questi ultimi anni è stata modificata più volte, allineando le imposte dirette per un acquisto in asta a quelle del mercato libero. Prima del 2014 si pagavano i tributi sul prezzo di aggiudicazione, oggi è possibile applicare il criterio del “prezzo valore”, vale a dire la determinazione della base imponibile sulla rendita catastale; quindi l’imposta di registro è il 2% sulla prima casa e il 9% sulla seconda, cui vanno aggiunte le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa pari a €. 200,00 cadauna.
Di solito è il debitore a chiedere di bloccare l’asta immobiliare inviando una lettera raccomandata o una PEC all’avvocato del creditore e chiedendo espressamente di procedere alla dilazione o allo stralcio del debito.
L’esecuzione immobiliare inizia con il creditore che richiede al Tribunale di ottenere il titolo esecutivo che gli consente di attivare la procedura di espropriazione. Così facendo, grazie alla successiva vendita dei beni espropriati, il creditore può recuperare il suo credito anche contro la sua volontà.
I tempi in media si aggirano tra i 4 e i 5 anni. In genere tra la notifica del pignoramento e la prima vendita all’asta non passano meno di 7, 8 mesi. Ma è assai improbabile che un bene venga aggiudicato al primo tentativo. Naturalmente quanto tempo passa tra il pignoramento e la vendita dipende anche dal tribunale.
La prima casa non è pignorabile solo quando il creditore è l’Agente per la riscossione esattoriale (Agenzia Entrate Riscossione, che ha sostituito Equitalia), il quale agisce per il recupero dei crediti dello Stato o della Pubblica Amministrazione.
Il fondo patrimoniale è inattaccabile dopo 5 anni dalla sua costituzione, conteggiati quindi dal giorno in cui l’atto viene redatto dal notaio e non dal giorno della trascrizione nei registri pubblici.
La casa e gli altri beni inseriti nel fondo patrimoniale sono sempre pignorabili per debiti contratti per i bisogni della famiglia e solo per cinque anni invece per i debiti anteriori alla sua costituzione.
I soggetti legittimati a proporre un’opposizione all’esecuzione e per tanto definiti attori dell’azione, sono i debitori che subiscono tale esecuzione: il debitore, il terzo proprietario del bene pignorato o un soggetto comunque espropriato. I legittimati passivi dell’opposizione, pertanto convenuti, sono il creditore che procede all’esecuzione forzata e i soggetti intervenuti con titolo esecutivo.
Stabilito che l’opposizione all’esecuzione ha sempre come fine la contestazione del diritto di procedere all’esecuzione del creditore, le condizioni valide per proporre tale procedura sono:
Per richiedere la cancellazione semplificata di un’ipoteca, il creditore deve inviare, con modalità telematica, una comunicazione di avvenuta estinzione del debito al competente ufficio dell’Agenzia – Reparto Servizi di pubblicità immobiliare.
L’unica maniera per arrivare alla cancellazione dell’ipoteca è dunque estinguere completamente il mutuo con la banca creditrice che successivamente comunica l’estinzione del debito al Conservatore competente, il quale a sua volta procede d’ufficio alla cancellazione automatica dell’iscrizione ipotecaria.
Le spese di cancellazione sono a carico del debitore. Oltre ai 94 euro per gli oneri di cancelleria e per le tasse, bisogna aggiungere lo 0.5% calcolato sul debito che ha causato l’ipoteca giudiziale.
Dopo l’iscrizione di ipoteca, se il debito rimane insoluto o non rateizzato oppure non è oggetto di provvedimento di sgravio o sospensione – e se il bene rientra nelle condizioni previste dalla legge – l’agente della riscossione potrà procedere al pignoramento e alla vendita dell’immobile.
Il pignoramento consiste nell’espropriazione della casa del debitore. Quest’ultimo perde di fatto i suoi diritti di proprietario e il prossimo passo sarà quello di mettere l’immobile all’asta. L’ipoteca è invece una semplice garanzia.
Nel solo caso che il creditore sia l’Agenzia dell’Entrate, inoltre, non è possibile eseguire il pignoramento se: il debito è inferiore a 120.000 euro. il complesso dei beni immobili di proprietà del debitore è inferiore per valore netto a 120mila euro.
Casa, strumenti da lavoro, pensioni, stipendi, sussidi ai poveri, assegni di invalidità: tutti i beni, mobili o immobili, e i crediti impignorabili. In caso di debiti, non tutti i beni del debitore possono essere pignorati.
Il pignoramento non è un atto irreversibile ed è possibile cancellarlo. Per poter cancellare il pignoramento immobiliare si possono intraprendere diverse soluzioni in base al caso: puoi decidere di pagare il debito insoluto, puoi opporti al pignoramento o altresì trovare un accordo con il creditore.
Nel momento in cui la proposta viene accettata e il proponente prende visione dell’accettazione, l’assegno di garanzia lasciato in deposito diventa una caparra confirmatoria. A seguito dell’accettazione, la proposta è da registrarsi presso l’Agenzia Delle Entrate.
Essa è vincolante per il proponente ma non ancora per il venditore, il quale finché non accetta e sottoscrive rimane libero da qualsiasi impegno. Allo scadere del termine di validità, se il venditore non ha accettato, la proposta diventa inefficace e l’aspirante acquirente non ha assolutamente più alcun obbligo.
Nel caso in cui risulti inadempiente il venditore, questi è tenuto non soltanto a restituire all’acquirente la somma incassata a titolo di caparra, ma anche ad aggiungere una cifra di pari importo. Le cose cambiano quando è l’acquirente ad essere inadempiente. In questo caso, egli rischia di perdere ciò che ha versato in anticipo. Secondo la legge, se è inadempiente colui che ha versato la caparra, allora chi l’ha ricevuta ha diritto a trattenerla, senza doverla restituire.
La differenza tra compromesso e proposta di acquisto risiede nel fatto che il primo impegna entrambe le parti, mentre la seconda solo chi l’ha firmata. Infatti, nonostante l’acquirente abbia versato la caparra, il venditore ha la possibilità di valutare nel frattempo anche altre proposte.
Se il contratto preliminare di compravendita non viene registrato entro i termini imposti dalla normativa vigente, si va incontro a sanzioni il cui ammontare è variabile in base all’entità del ritardo. Se la registrazione avviene entro 90 giorni, la sanzione sarà pari al 15% dell’ammontare dovuto.
Le spese di registrazione del compromesso spettano all’acquirente, se non è stato pattuito diversamente.
Esso resta sempre un contratto e, pertanto, è obbligatorio e va rispettato. Pertanto, una volta firmato il compromesso non ci si può più tirare indietro e: il venditore è costretto a vendere l’immobile indicato nel preliminare; l’acquirente è costretto ad acquistarlo.
Nel caso in cui sia l’acquirente a tirarsi indietro, il venditore potrà richiedere ad un giudice la risoluzione del contratto, trattenere la caparra versata e, in caso di caparra confirmatoria, chiedere anche il risarcimento dei danni.
L’acquirente avrà diritto alla restituzione del doppio della somma versata al compromesso a titolo di caparra e, se questa era di natura confirmatoria , anche a un risarcimento del danno.
Negli appalti di diritto privato la procedura non è altro che una negoziazione: appaltatore e committente siedono ad un tavolo e stabiliscono tempi, modi, progetti, prezzo e tutto ciò che potrà essere stabilito in sede di contrattazione.
L’appalto è il contratto con cui una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l’obbligazione di compiere in favore di un’altra (committente o appaltante) un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Il contratto d’appalto, per essere cautelativo, deve contenere i seguenti allegati: computo metrico, cronoprogramma, capitolato, progetto e offerta definitiva.
I documenti del cantiere:
L’appaltatore può esercitare il suo diritto di recesso “Se l’importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto” e in tal caso “può ottenere, secondo le circostanze, un’equa indennità”.
Il contratto d’appalto può risolversi quando la prestazione che ne costituisce oggetto diventa impossibile da eseguire per una causa non imputabile a nessuna delle parti. A disciplinare l’ipotesi è l’articolo 1672 del codice civile che tratta però una impossibilità parziale.
In un contratto di appalto il committente è sempre libero, anche se i lavori sono già iniziati, di esercitare il diritto di recesso che la legge (art. 1671 del codice civile) gli riconosce. L’esercizio del diritto di recesso è svincolato da qualsiasi ipotesi di inadempimento dell’appaltatore e può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente a porre fine al rapporto non essendo configurabile un diritto dell’appaltatore a proseguire nell’esecuzione dell’opera. Esso è comunque esercitabile in presenza di fatti, tra cui anche il venire meno della fiducia nei confronti dell’appaltatore che presuppongono un non regolare svolgimento degli accordi presi (Corte appello Roma sez. III, 09/04/2021, n.2601).
La procedura si svolge tramite un bando pubblico a cui le imprese interessate, che rispondono ai criteri di ammissione richiesti, rispondono e partecipano alla selezione. Il vincitore, ossia l’impresa che meglio si allinea ai requisiti di aggiudicazione, stipula il contratto di appalto e si occupa della sua esecuzione.
Nel caso in cui un immobile sia diventato proprietà in comunione, a seguito di eredità, di più persone, la divisione può semplicemente essere decisa mediante un accordo privato tra i coeredi, firmato da tutti gli eredi davanti ad un notaio. Se, invece, non c’è accordo tra essi, sarà necessario ricorrere al giudice.
Il consulente nominato dovrà stimare il valore dei beni, individuare il valore delle quote ereditarie e redigere una proposta di divisione ereditaria. Se questa proposta non viene contestata da nessuno degli eredi, il giudice procederà con la divisione ereditaria.
I creditori o gli aventi causa dei condividenti possono opporsi alla divisione giudiziale a patto che la divisione si debba ancora eseguire. È fatto salvo il caso in cui abbiano notificato un’opposizione anteriormente alla divisione stessa.
Per sciogliere una comunione di un bene si può procedere a un contratto di divisione o, diversamente, al ricorso al giudice che procede alla formazione di lotti di pari valore o, se questi ultimi non sono possibili, alla vendita del bene. Quando la proprietà di un bene fa capo più soggetti si dice che è “in comunione”.
La legge prevede che ciascun comproprietario possa chiedere lo scioglimento della comunione, a patto che non si tratti di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate.
Le tempistiche di rilascio dipendono da numerose varianti. In ogni caso si può affermare che di media, dopo la convalida dello sfratto, all’inquilino restano normalmente 2-4 mesi di permanenza all’interno dell’immobile.
Basta una sola mensilità non pagata e si può proporre lo sfratto per morosità trascorsi venti giorni dalla sua scadenza. Lo sfratto per morosità si può intimare anche per il mancato pagamento, nel termine previsto, “degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone”.
Per opporsi è sufficiente recarsi in tribunale il giorno dell’udienza, che deve essere indicato nell’atto giudiziario notificato. Le conseguenze possono essere le seguenti: se le eccezioni proposte non sono fondate e comprovate da prove scritte, il giudice pronuncia un’ordinanza non impugnabile di rilascio.
L’opposizione deve essere proposta, nelle forme prescritte per l’opposizione a decreto ingiuntivo, non oltre dieci giorni dall’inizio di esecuzione, con facoltà per il giudice di disporre la sospensione per gravi motivi dell’esecuzione intrapresa, se del caso imponendo una cauzione.
Per poter ricorrere al termine di grazia di 120 giorni, il conduttore deve tuttavia dimostrare come il mancato pagamento dei canoni, per un massimo di due mesi, sia da imputare alle condizioni economiche precarie in cui verte.
Il termine di grazia può essere richiesto dall’inquilino moroso al massimo tre volte nel corso di un quadriennio. Oltre ai canoni insoluti, il conduttore che vuole evitare lo sfratto deve pagare le spese legali, gli interessi e gli oneri accessori.